Alla ricerca della felicità

Come fare ad essere felici? Ci sono delle strategie psicologiche possono aiutarci a trovare la felicità?
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Quando la felicità non è quello che crediamo

 

Che cos’è la felicità? Tutti la conosciamo per averla provata nella vita, ma descriverla in maniera definitiva non sarebbe comunque semplice per nessuno di noi. Siamo in grado di elencare quello che ci fa stare bene e le cose che ci impediscono di essere felici, ma se dobbiamo darne una definizione generale, il discorso si complica.


Da secoli, ormai, filosofi e poeti hanno cercato di catturare questo sentimento con le parole:

 

“Tutti gli esseri umani vogliono essere felici; peraltro, per poter raggiungere una tale condizione, bisogna cominciare col capire che cosa si intende per felicità”

 

(Jean-Jacques Rousseau)

 

Quando in Psicologia si parla di felicità ci si concentra sulla sua descrizione e su quali siano gli elementi che contribuiscono, in positivo e in negativo, a produrla e a mantenerla. Secondo la teoria, una persona è felice se si sente bene ed è soddisfatta della vita che conduce. Un aspetto che raramente viene preso in considerazione, ma che ha un grande impatto su questo sentimento, è il giudizio morale su come la felicità venga raggiunta. 

 

In Filosofia non si tratta solo di uno stato psicologico, ma anche di una scelta comportamentale: è felice chi si comporta bene ed è buono con gli altri. Un sadico, anche se gode a far soffrire le persone o gli animali e quindi comunque sta bene, non può essere considerato un uomo felice.

 

Un insieme di studi condotti da J. Philips e colleghi, ricercatori di Harvard e Yale (2015), ha messo in luce il fatto che la valutazione soggettiva della felicità passa sempre per il giudizio morale

 

Le persone tendono a parlare di felicità in termini descrittivi, ma messe di fronte ad esempi concreti in cui sono coinvolte azioni buone o cattive, la valutazione è significativamente influenzata dal valore morale. Chi fa del bene è felice, chi fa del male è infelice, anche se può trarne godimento. 

 

A questo punto le ipotesi che hanno guidato i ricercatori sono state tre: le persone utilizzano bias cognitivi o credenze quando parlano di felicità? Ovvero, hanno dei pregiudizi di base o delle credenze fondamentali che influenzano il concetto personale di felicità? Quando valutano questo sentimento, sono influenzati dalla percezione dello stato psicologico? Oppure il concetto stesso di felicità, per le persone, non è solo di tipo descrittivo, ma soprattutto valutativo?

 

J.Phillips ha condotto 5 studi diversi per rispondere a queste domande. In tutti gli studi i partecipanti erano suddivisi in tre gruppi: persone non competenti sul tema, filosofi che avevano trattato dell’argomento e infine ricercatori che studiavano l’argomento da un punto di vista scientifico. Le risposte che hanno dato ai test non sono risultate influenzate dalla conoscenza sul tema e non è l’unica cosa sorprendente emersa.

Nel primo studio si è stabilito che le persone danno un’importanza significativa alla moralità come caratteristica fondante della felicità. Le persone rette e che si comportano bene vengono viste come più felici, rispetto a chi non ha valori morali o ha valori negativi.

 

Nel secondo e terzo studio, l’interesse degli sperimentatori era volto a capire se quando si parla di essere felici, le persone siano influenzate da credenze particolari, ad esempio quelle su un mondo giusto, “chi semina vento, raccoglie tempesta” etc. Oppure se erano guidate da errori cognitivi, per es. i pregiudizi. L’ipotesi alla base di questi due studi era che le persone possono essere riluttanti a definire “felici”, quelli che giudicano come “cattivi” o se credono in una realtà in cui vige la giustizia. I risultati hanno confermato che non si tratta di distorsioni del pensiero sul tema, che le opinioni personali e le convinzioni sulla realtà non contribuiscono ad influenzare l’dea che la condizione dell’esser felici sia associata alla rettitudine morale.

 

Il quarto aveva come obiettivo stabilire se rispetto al tema “essere felice” possa esserci una mediazione della capacità di percepire gli stati psicologici. Se non si è in grado di capire le motivazione, il tipo di ragionamento fatto, le emozioni di un individuo, non si può dedurre in maniera corretta se sia felice o meno. Anche in questo caso l’ipotesi non è stata confermata. La convinzione sulla felicità come derivante da una sistema di valori morali, non è influenzata dall’incapacità di dare valutazioni obiettive sugli stati psicologici associati alla felicità. 

 

Il quinto e ultimo studio, avendo escluso tutte le ipotesi, prendeva in considerazione l’idea che, per le persone, il concetto di felicità non è solo descrittivo (sei felice se stai bene), ma ha anche a che fare con una valutazione di tipo morale (come ti sei procurato quella felicità?).

Se i giudizi morali svolgono un ruolo importante nel governare il concetto ordinario di felicità, allora l’impatto della morale dovrebbe avere un peso maggiore nelle attribuzioni, rispetto a fattori non morali.

Per verificare questa ipotesi gli esaminatori hanno manipolato aspetti specifici della vita dei personaggi delle storie presentate durante il test, di tipo non morale (avere un brutto lavoro, essere poveri…) con altri di tipo morale (avere cura dei bambini/far loro del male), aspettandosi che entrambi i criteri influenzassero l’idea di felicità nelle risposte date dai soggetti testati. 

Da quest’ultimo studio è risultato che i valori morali erano nettamente più indicativi nell’impatto sulla felicità rispetto ai fattori riguardanti aspetti concreti della vita quotidiana. Questo dato confermerebbe l’ipotesi che quello della moralità sia un criterio indipendente nel definire il concetto di felicità.  

 

Ovviamente i giudizi sulla morale non sono gli unici fattori a venire chiamati in causa quando si cerca di spiegare cosa sia la felicità. Numerosi studi hanno messo in luce l’importanza della conoscenza, delle azioni intenzionali, della causalità, del libero arbitrio. Rimane il fatto che quando pensiamo alla felicità e a come raggiungerla, teniamo conto anche della sua leggittimità.

 

“Non è possibile vivere felicemente senza anche vivere saggiamente, bene e giustamente, né è possibile vivere saggiamente, bene e giustamente senza anche vivere felicemente”

(Epicuro)