I soldi non danno la felicità, cosa può darcela?

I Paesi più felici del Mondo ci svelano il segreto: senso di appartenenza e relazioni significative
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Parliamo spesso dei motivi che contribuiscono ad avere una vita felice. Con lo stesso scopo, gli studiosi si sono concentrati sulle cause della sofferenza alla base di disturbi come quelli dell’umore. Cosa abbiamo imparato?

No man is an island”, nessun uomo è un’isola, è il primo verso dell’omonima poesia di John Donne. Dovrebbe essere, anche, una linea guida fondamentale, almeno per chi è impegnato nella personale ricerca della felicità.

Rispetto al tema, molti considerano gli altri significativi come scontati e la società di cui sono parte come distante dalla propria realtà. Anche per questo, quindi, il benessere tende a coincidere con obiettivi materiali. Salvo scoprire, forse, che ogni volta un obiettivo viene raggiunto, perde di valore e che continua a mancare qualcosa.

NON SONO I SOLDI A DARE LA FELICITÀ

Senza soffermarci sulle basi organiche del dolore psicologico – l’ultima ipotesi è che, tra le cause della sofferenza emotiva, vi sia uno stato infiammatorio dell’organismo, come per l’artrite (“E se le depressione fosse causata dall’infiammazione”) – la concezione che la felicità sia legata in particolare al benessere economico non sembra essere adeguata.

L’affermazione che i soldi non sarebbero sufficienti per essere felici può suscitare comprensibili perplessità. La tranquillità finanziaria sicuramente permette uno stile di vita adeguato, opportunità e servizi che dovrebbero essere assicurati a tutti e che spesso non lo sono. Grazie al denaro, poi, compriamo cose che possono darci piacere e, infine, possedere dei risparmi ci fa sentire al sicuro, in caso di imprevisti. 

Però, da soli, i soldi non bastano e a volte complicano le cose. Basta fare una ricerca veloce nel web, per scoprire che molti vincitori alle lotterie di tutto il mondo non hanno vissuto le vite da sogno che ci piace immaginare, ma che, invece, dopo le vincite sono andati incontro, piuttosto, a divorzi, tentati omicidi, bancarotte… Senza voler considerare le storie più catastrofiche, le statistiche dicono che il livello di felicità, ad un anno da una vincita alla lotteria, sembrerebbe tornare uguale a prima della vittoria. 

SE I SOLDI NON DANNO LA FELICITÀ, COS’È IN GRADO DI DARLA?

Se non è il denaro che può risolvere la questione dell’essere felici nella vita, cosa può farlo? Un indizio possiamo trovarlo nello studio dei Paesi più felici, secondo quanto stilato dal World Happiness Report del 2019. 

Nelle prime posizioni troviamo La Finlandia (è il secondo anno consecutivo che si aggiudica il titolo), la Danimarca e la Novergia. Seguono paesi come l’Olanda, la Svizzera e la Svezia. Se ve lo state chiedendo il “Bel Paese”, l’Italia, è solo al 36° posto.

Tra i criteri presi in considerazione, è vero che c’è il PIL insieme a fattori come l’occupazione, il tasso di criminalità, il livello di istruzione e dei servizi pubblici, ma è anche un altro aspetto che accomuna tutte le prime posizioni. Ai primi posti del World Happiness Report troviamo, infatti, delle Nazioni che hanno un forte senso della comunità; in cui saper bilanciare vita privata e vita lavorativa è un valore importante. 

Da questi Paesi è stato sdoganato negli ultimi il concetto di Hygge. Il termine Hygge è difficilmente traducibile nella nostra lingua, indica l’arte di creare intimità, con lo scopo di portare a un benessere dello spirito. Lo Hygge è costituito da diversi elementi, ma quello fondamentale è la presenza di una compagnia intima e piacevole. Jean Paul Sartre affermava, ironicamente, che “l’inferno sono gli altri”. Sembrano essere, anche, però, la chiave per essere felici, almeno nei Paesi del Nord Europa.

IL SENSO DI APPARTENENZA E IL BISOGNO DI RELAZIONI

Quando parliamo di relazioni, non ci riferiamo solo al piccolo gruppo, dentro al quale tutti siamo inseriti, come, ad esempio, quello della famiglia e degli amici. Per una felicità consistente e duratura è necessario sentire di far parte e di poter fare riferimento, ad un contesto sociale più ampio.

È l’appartenenza alla società che ci fa sentire “parte di un tutto”. Per alcuni questa funzione coincide con il Paese di nascita o la comunità religiosa. Per altri può costituire il tifo per la squadra del Cuore o una causa comune per la quale lottare. L’appartenenza ad un contesto sociale più ampio, ha vincoli più flessibili dei piccoli gruppi e permette, anche, di mantenere la propria indipendenza e individualità, altri due bisogni umani fondamentali. 

La mancanza di relazioni e il progressivo isolamento sono, al contrario, sono causa di insoddisfazione e infelicità e costituiscono due fattori comprovati nello sviluppo e del mantenimento dei disturbi dell’umore, in particolare di quelli depressivi. 

Un’esistenza consacrata esclusivamente al proprio piacere personale, inoltre, non permette di sviluppare aspetti profondi dell’identità e bisogni basilari che solo grazie alla presenza degli altri possono essere espressi come il senso di appartenenza, la vicinanza emotiva e la condivisione.

Nessun uomo vorrebbe essere un’isola insomma.

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