Se il problema non è la distrazione, ma il problema stesso

Parliamo di un recente studio che ha indagato il rapporto tra attenzione e distrazione.
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Un recente studio ha indagato il rapporto tra attenzione e distrazione. Il risultato mostrerebbe che la facilità a distrarsi, quando si è impegnati in un compito che richiede l’impiego delle risorse cognitive, non dipenderebbe tanto dalla sua difficoltà, quanto dall’esatto opposto: il fatto di essere un compito troppo poco complesso per la persona.

A chi non è mai capitato di dover fare qualcosa,  ma trovarsi continuamente a pensare ad altro, a guardare fuori dalla finestra o a fare entra ed esci dalla stanza? Spesso concludiamo che siamo persone che non riescono a concentrarsi o che hanno un problema a rimanere attenti.Secondo gli scienziati la difficoltà ad essere coinvolti in quello che stiamo facendo dipenderebbe piuttosto dalla complessità del compito.

 

Stando alla ricerca pubblicata sul Journal of Experimental Psychology, quando siamo impegnati a fare qualcosa che richiede una bassa concentrazione delle nostre risorse attentive, il cervello è più sensibile alle distrazioni. Diversamente da quanto si pensa, quando stiamo facendo qualcosa di difficile siamo in grado di astrarci dall’ambiente circostante. È quando siamo di fronte ad un compito troppo semplice che rimanere concentrati diventa una sfida.

 

Questo risultato va contro la teorie sull’attenzione e della distraibilità comunemente accettata secondo cui più complesso è quello che stiamo facendo, più facile sarà distrarsi, in virtù del fatto che vista la limitatezza delle nostre risorse cognitive, non siamo in grado di mantenere in maniera protratta il nostro livello attentivo.

 

Poiché non è possibile avere contemporaneamente la percezione di tutti gli stimoli che sono presenti nell’ambiente che ci circonda, tendiamo a selezionare  solo le informazioni rilevanti per noi in quel momento che vengono elaborate in maniera più dettagliata. Questa capacità è chiamata attenzione selettiva. Il resto dei dati presenti nell’ambiente circostante vengono invece processati in maniera più superficiale o non processati affatto. Infine, quando l’attenzione è viene catturata in modo involontario e indipendente, viene chiamata automatica. Poiché le nostre risorse cognitive sono limitate, quando è presente un’interferenza nelle risorse tra due compiti che sono in competizione tra loro (per esempio leggere un testo e contemporaneamente ascoltare una conversazione) le nostre risorse attentive saranno maggiori quanto maggiore sarà la concentrazione che il compito richiede. La qualità dell’esecuzione dei due compiti dipenderà poi dalla quantità di risorse che sono richieste da ciascun compito. Il compito che riceverà una quantità di risorse sufficiente alla sua realizzazione è detto “compito primario”, mentre il compito che riceverà la parte di attenzione rimanente è definito “compito secondario”. 

 

Nello studio condotto da Simona Buetti e Alejandro Lleras, ricercatori presso l’Università dell’Illinois, ai partecipanti veniva chiesto di risolvere un problema aritmetico mentre su uno schermo venivano mostrate diverse fotografie. Per registrare il numero di volte in cui l’attenzione dei soggetti si spostava dal problema aritmetico alle fotografie,è stato utilizzato un dispositivo che tracciava i movimenti oculari dei soggetti. 

I risultati hanno mostrato che di fronte ai compiti che presentavano un certo grado di complessità e quindi richiedevano più impegno cognitivo, i soggetti si distraevano meno. Questa scoperta, secondo Buetti e Lleras, mostrerebbe che la capacità di portare a termine un compito non dipende soltanto da processi cognitivi quali attenzione e concentrazione, ma anche da fattori esterni quali complessità del compito.

 
Nonostante questo dato, senz’altro interessante, non bisogna scordare la cosa più importante e strettamente personale, ricordano gli autori della ricerca, cioè che quando ci troviamo di fronte ad uno problema, quello che ne determina il successo nella risoluzione è anche la determinazione che impieghiamo nell’affrontarlo dopotutto come affermarva il motivatore americano Zig Ziglar: “La motivazione è la scintilla che accende il fuoco della conoscenza ed alimenta il motore della realizzazione. Massimizza e mantiene il momento“. 

 

FONTI:

http://psycnet.apa.org/journals/xge/145/10/1382/

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4285120/