Cherofobia: ovvero quando si ha paura di essere felici

Esiste davvero la cherofobia? Cosa significa aver paura della felicità? Si può curare?
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"E ogni volta che qualcosa va

come dovrebbe andare

penso di non potercela fare

e cerco ogni forma di dolore

mischiata al sangue col sudore

e sento il respiro che manca

e sento l'ansia che avanza"

 

È così che canta Martina Attili, la giovane cantate di X-Factor, in "Cherofobia", la paura di essere felice, appunto. Il termine cherofobia deriva dal greco καιρός ed è traducibile con "tempo propizio", ma anche "ciò che giova" e φόβος , la paura specifica di una situazione.

Viviamo in un epoca in cui tutti, a vari livelli, siamo impegnati nella nostra personale ricerca della felicità. Secondo il calcolo del World Happiness Report, la nazione più felice sarebbe la Finlandia, ovvero il posto in cui gli abitanti sono più soddisfatti e sentono di vivere meglio.

Il termine felicità ci fa pensare infatti al vivere e sentirsi bene, che qualcuno tema questa emozione potrebbe sembrare quasi un controsenso. Proviamo a capire di cosa si tratta.

FOBIE, NON SEMPLICI PAURE

Il termine fobia dovrebbe metterci già sull'avviso. In psicologia la fobia non indica la paura di per sé, ma una paura irrazionale, non dettata da un pericolo, ma basata su un'associazione più o meno impropria. La fobia è un timore sproporzionato e incontrollabile e quindi difficilmente gestibile a livello razionale. 

Questo classe di paure riguarda un'emotività molto intensa e con effetti sul corpo altrettanto forti. Chi soffre di una fobia, quando si trova esposto allo stimolo specifico, presenta immediatamente tutta una serie di segni come palpitazioni, aumento del battito cardiaco, sudore, tremori, sensazione di svenimento e urgenza alla fuga.

Da questo punto di vista la paura di essere felici dovrebbe essere quindi qualcosa di irrazionale, spropositato e incontrollabile e che si manifesta tramite il corpo.

DI COSA HA PAURA CHI SOFFRE DI CHEROFOBIA

La felicità è un vissuto duraturo, al contrario di equivalenti emotivi come la gioia o la contentezza che hanno un inizio, un picco di intensità e una fisiologica diminuzione. Se pensiamo ai momenti in cui abbiamo realizzato di essere stati felici, li ricordiamo in modo preciso, con piacere, bei ricordi preziosi. Perchè allora temere qualcosa di così piacevole che, di fatto, guida la vita di moltissime persone?

Il cherofobico non teme il vissuto della felicità in sé, quanto, piuttosto, ciò che la felicità comporta. Essere felici, spesso si accompagna all'ottimismo, al pensiero positivo, al lasciarsi andare nell'esperienza. Questo è quello che può genera paura. Non l'emozione in sé, piuttosto che nasconda un pericolo, una minaccia, una delusione. 

Essere ottimisti, agli occhi di chi soffre di questa fobia è molto pericoloso, perché potrebbe rivelarsi solo un'illusione. Ciò che di positivo gli accade è visto come qualcosa di incredibile, magari non meritato che presto sarà tolto dolorosamente. Se c'è una cosa che chi soffre di questa sindrome è sicuro è che: "tanto non durerà".

Un altro problema può essere, invece, non credere di poter gestire i successi ottenuti. L'idea di un nuovo lavoro, una nuova relazione, un cambiamento, tutto ciò che potrebbe migliorare la vita, diventa così spaventoso. Il cherofobico si sentirebbe eccessivamente responsabile di quello che gli succede intorno. Se le cose non andassero come sperato, di chi sarebbe la colpa? Soltanto sua.  

ASPETTI CULTURALI DELLA FELICITÀ

Alcuni studiosi hanno coniato il termine happycrazia. Nella cultura occidentale essere (o mostrarsi) felici sembra essere diventato un imperativo; un valore dal quale non ci si può discostare senza suscitare perplessità o preoccupazione. La felicità e la sua ricerca, in quest'ottica, coincidono con aspetti quali il successo, il benessere economico, il riconoscimento da parte degli altri.

Altri tipi di cultura come quelle asiatiche, invece, non sottostanno all'happycrazia, all' "egemonia" della felicità. Anzi, mostrarsi contenti in pubblico, non sempre è una cosa appropriata, nei contesti in cui il controllo dell'espressione emotiva è un valore condiviso. Questa emozione non viene nemmeno considerata un diritto inalienabile dell'essere umano in culture come quella thailandese o cinese.

Alcuni studi hanno evidenziato che è molto più importante per gli americani provare stati emotivi positivi che per i giapponesi. Nel mondo asiatico sembra esserci una consapevolezza maggiore del costo della felicità e quindi un entusiasmo più contenuto, rispetto al mondo occidentale.

Queste differenze culturali non implicano che la felicità non sia un bene prezioso per tutti, quanto il fatto che la ricerca di una felicità smodata potrebbe avere più costi che benefici per l'individuo. Di fatto le nostre vite non possono essere sempre felici.

COME SI CURA LA CHEROFOBIA?

Tornando a questo particolare "male di vivere", come potremmo definirlo, certamente  non è inguaribile. È vero che si può vivere anche senza sentirsi felici e che non è un obbligo, ma è vero anche, che senza impegnarci nella ricerca di un miglioramento continuo nella nostra esistenza, ci mancherà sempre qualcosa.

La cherofobia, come ogni paura, non permette di cogliere occasioni o opportunità. Porta all'evitamento e all'autoesclusione, perchè costituisce una sorta di strategia protettiva dagli aspetti negativi, visti come intollerabili. 

Il trattamento della "paura di essere felici" parte dallo sviluppare una maggiore consapevolezza dei motivi per cui questa strategia di protezione dal dolore è diventata necessaria nella vita della persona. Bisogna, quindi, capire, quali sono gli eventi che l'hanno determinata, gli aspetti della personalità che hanno contribuito a svilupparla e su quali basi cognitive si mantiene. 

FONTE: Aversion to Happiness Across Cultures: A Review of Where and Why People are Averse to Happiness