Sindrome della capanna – la paura di uscire dopo il lockdown

La Fase 2 non per tutti è accompagnata da sollievo e ottimismo. C'è chi all'idea di uscire di casa ha tanta paura.
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Ora che siamo entrati nella fase 2 ci è concesso di uscire con più libertà, anche per motivi non strettamente comprovati di necessità, come il bisogno di praticare sport o fare movimento. In molti, però, all’idea di uscire provano ansia e preferiscono continuare il lockdown. Quello che stanno vivendo è stata ribattezzata sindrome della capanna.

La condizione psicologica della Fase 2

La casa, per la maggior parte delle persone è il luogo in cui ci sente più sicuri e protetti. Il mondo là fuori, per quanto, si possa essere persone positive e ottimiste, ci espone a rischi e pericoli. Normalmente, comunque, siamo in grado di tenere a bada questi timori, altrimenti la nostra serenità mentale sarebbe perennemente disturbata. Però, quelli che stiamo vivendo non sono tempi normali.

Dopo due mesi di bombardamento mediatico sulla pandemia, sui modi di contagio, sul pericolo costituito dagli altri, sulle conseguenze per la salute e sulla vita, di quel contagio, siamo entrati nella Fase 2.

Siamo più liberi di uscire di casa, oltreché per i motivi di necessità, anche per il bisogno di fare movimento, di prendere aria o di farla prendere ai bambini, agli anziani o ai disabili.

Non sempre, però, la reazione è di sollievo e fiducia. In molti, in questi giorni post-quarantena stretta, si sentono confusi, in ansia o insicuri come segnalato anche dalla Società italiana di psichiatria – SIP. Si parla della sindrome della capanna.

La Sindrome della Capanna o del Prigioniero cos’è

Non è un disturbo psicologico vero e proprio. Si tratta piuttosto di un modo peculiare di sentire che condiziona chi, per svariate cause, è costretto a passare diverso tempo chiuso in casa e isolato dagli altri e dal mondo esterno. Può riguardare pazienti che hanno avuto lunghi periodi di degenza, carcerati o chi magari si trova a vivere per lunghi periodi, per condizioni climatiche avverse, tagliato fuori dalla civiltà.

È una condizione transitoria, la durata dovrebbe essere di qualche settimana, ed caratterizzata da emozioni ansiose e comportamenti di controllo o evitamento con scopo di auto-rassicurazione, legati all’idea di uscire da casa e stare all’aperto.

La sindrome della capanna, le cause

Paura del mondo esterno. Dopo due mesi di condizionamenti sulla pericolosità di uscire da parte dei media, ce ne siamo convinti. Abbiamo paura di ammalarci ora che siamo consapevoli a cosa si potrebbe andare incontro, ma temiamo anche di poter essere la fonte del contagio per i propri cari.

Il timore di non trovare più la vita che conoscevamo. Temiamo di vedere come è cambiata la città, ancora così desolata con i negozi chiusi, le attività che nel frattempo sono fallite e di non trovare la realtà di prima.

Il timore opposto di tornare alla vita di prima.  Non per tutti, prima della quarantena, l’esistenza era soddisfacente. Adesso lo è ancora meno, anche, forse, per aver sperimentato quanto la vita è breve e può essere stravolta in un attimo.

I fattori di rischio soggettivi. Ci sono persone più vulnerabili a questo modo di sentire. Tra i fattori di rischio, figurano scarsa flessibilità di adattamento alle situazioni nuove, la presenza di malattie psichiatriche, per es. fobie. L’ansia di dover uscire può colpire chi ha vissuto direttamente o indirettamente la malattia oppure chi si trova ad affrontare i problemi conseguenti alla quarantena, come per esempio chi va incontro a una crisi economica o lavorativa. 

A rischio in questo momento sono sono anche gli operatori sanitari: i medici, gli infermieri, i tecnici e i professionisti della salute mentale che sono stati coinvolti in prima persona nella gestione della COVID-19, durante questi mesi.

Differenze con l’agorafobia

Si potrebbe pensare che la sindrome della capanna sia una forma alternativa di agorafobia. L’agorafobia, però, è un vero e proprio disturbo psicologico. Questa malattia è caratterizzata da intensa paura o ansia legata a situazioni come: prendere i mezzi pubblici, trovarsi in spazi aperti o chiusi tipo pubblico, come supermercati, negozi, cinema etc., stare in coda o trovarsi in una folla, essere da soli fuori di casa.

Chi ne soffre prova malessere ogni volta che si trova in queste situazioni. Il disagio può evolvere in attacchi di ansia acuta o di panico. Il malessere viene gestito con l’evitamento attivo delle situazioni o la richiesta di essere accompagnati durante queste situazioni da una persona fidata.

Come gestire la sindrome della capanna

  • Normalizzazione. L’ansia all’idea di uscire e di riprendere il ritmo normale di vita è del tutto naturale e si verifica in tutti i casi in cui le persone si trovano a vivere in condizioni eccezionali, per es. chi rimane isolato per mesi a causa della neve, oppure i newyorkesi dopo l’11 settembre. Entro tre settimane dalla ripresa, l’ansia dovrebbe tornare ai livelli soggettivi pre-pandemia.
  • Disintossicarsi dalla tecnologia. Il consiglio è per quelli che hanno passato questi mesi attaccati allo smartphone o al computer, per lavoro o per distrazione. Riprendere il contatto con la realtà e quello che ci circonda, in questo momento è necessario per evitare il rischio di alienazione.
  • Gradualità. Ci siamo abituati gradualmente a impostare le nostre vite a casa. Quando possibile cerchiamo di tornare al processo inverso, facendo piccoli passi. Usciamo per brevi passeggiate, muniti di tutte le precauzioni che comunque rimangono ancora obbligatorie, come guanti e mascherine. Proviamo a rassicurarci con frasi positive sul fatto che non ci succederà niente e che siamo in grado di controllare le nostre emozioni.
  • Mantenere le buone abitudini. Rispettare la regolarità del ciclo sonno veglia, andando a dormire e svegliandosi sempre allo stesso orario. Non saltare i pasti, né mangiare in eccesso. Praticare attività sportiva o fare movimento. Dedicarsi ai propri hobby. Non abbandoniamo le strategie che abbiamo scoperto o mantenuto durante la quarantena. Avere abitudini sane è uno strumento prezioso in qualunque momento della vita, soprattutto in quelli difficili.
  • Condivisione. In questi mesi molti hanno scoperto il senso di comunità e di essere solidali l’uno con l’altro. Davvero tutti eravamo sulla stessa barca, magari qualcuno in prima classe, tanti in terza, ma comunque tutti uguali di fronte allo sgomento di quello che la TV e i giornali ci comunicavano. Parlarne, confidarsi con chi è accanto, aiuta a mettere ordine e ad elaborare le proprie emozioni. 

Se non vi sembra che quello che state vivendo sia passeggero, se avvertite del disagio o dei sintomi psicologici che vi fanno star male, non esitate a contattarmi. Capiremo insieme come gestire quello che sta succedendo!

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